Arrivata dal centro africa, da una collezione privata; questa maschera sembra risalire alla tribù Chokwue dell'Angola. Il vecchio proprietario, il signor Amin Rabanapuwir, l'aveva recuperata in un villaggio rurale abbandonato. Da alcuni scritti recuperati in un secondo tempo, sembra che in quel villaggio le donne della tribù fossero morte l'una dopo l'altra. La sacerdotessa tentò un rituale utilizzando la maschera MwanaPwo.... allo scopo di evocare una divinità femminea. Ma finì solo per peggiorare le cose. La maschera infatti è stata costruita e realizzata con pezzi e resti di un'altra maschera andata distrutta di una divinità malevola. Per la cultura Africana la maschera ha un valore cerimoniale molto potente:
La maschera africana è uno strumento attraverso il quale il rituale può svolgersi efficacemente connettendo mondi diversi.
Gli strumenti cambiano di cultura in cultura ma il rituale conserva la stessa fisionomia, seppure declinato in forme diverse a seconda dello scopo. Colui che indossa la maschera rituale ha il compito di perdersi in essa, lasciandosene risucchiare in modo da trasformare o dissimulare la propria identità e per riuscirci, spesso, il rito è accompagnato da danze e musiche ipnotiche che favoriscono lo stato di coscienza alterato.La somiglianza con le pratiche sciamaniche è indiscutibile. Ovviamente sussistono differenze di impiego da paese a paese ed essendo l’Africa un continente tanto vasto, generalizzare sarebbe assurdo. Tuttavia si notano tratti comuni, per esempio un largo impiego in fase di realizzazione del legno, successivamente intagliato, scolpito e talvolta dipinto o decorato con pelli, corna, ossa, conchiglie, paglia e altri materiali.
Amin l'ha ceduta, per paura che i suoi piccoli nipoti, girando per casa, avessero potuto indossarla.
Si raccomanda di non provare mai ad indossarla.
Seguiranno studi e prove di verifica.